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tery Moschettiere

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I Giusti italiani
Giovanni Palatucci
Nacque a Montella - in provincia di Avellino - il 31 maggio 1909 da Felice e Angelina Molinari. Importante fu nella sua formazione l’autorevolezza morale e culturale degli zii Antonio e Alfonso - che diverranno membri e docenti dell’Almo Collegio Teologico di Napoli e superiori provinciali dei Francescani conventuali in Puglia e a Napoli - e dello zio Giuseppe Maria Palatucci, Vescovo di Campagna. Compì gli studi ginnasiali presso il Ginnasio Pascucci di Pietradefusa ed il Liceo nella non lontana Benevento. Dopo la maturità, venne il tempo del servizio militare (1930) per il quale fu destinato, come allievo ufficiale di complemento, a Moncalieri.
Nel 1932, a ventitré anni, si laurea in giurisprudenza presso l’Università di Torino. Il 16 settembre 1936 è a Genova dove formula promessa di volontario Vice Commissario di Pubblica Sicurezza. Un telegramma del ministero dell'Interno del 3 novembre 1937 gli annuncia il trasferimento a Fiume presso la cui Questura - ove negli anni successivi avrà incarichi di Commissario e di Questore reggente - assumerà la responsabilità dell’ufficio stranieri, che lo porterà a contatto diretto con una realtà di rara umanità ed in particolare con la condizione degli Ebrei". Una nota protocollata il 16 scrive che Palatucci "ha qui assunto servizio il 15 corrente".
Fiume risente ancora dell'atmosfera cosmopolita dovuta al fatto di esser stata il porto di Budapest e uno dei crocevia dei popoli che componevano l'Impero austroungarico. Ovvio che ci sia un'importante comunità ebraica. Un anno dopo, il 1938, ovvero l'anno delle leggi razziali, arriverà come prefetto Temistocle Testa, un funzionario che dell'antisemitismo ha fatto una bandiera. Ecco un passaggio della lettera che scrive al gabinetto del ministero dell'Interno il 21 ottobre 1940: "Fiume è forse l'unica (provincia) che non permette la chiusura al sabato e alle altre feste, oltre ad aver chiuso definitivamente tutti i negozi ebraici di Abbazia (oggi Opatija), ma ha anche il primato di 200 ebrei internati".
Giovanni Palatucci era iscritto al Pnf ma era anche un cattolico di profonda fede; non sappiamo quali furono le sue prime reazioni alle leggi razziali, ma da parecchie testimonianze risulta chiaro come, via via che crebbe il pericolo per gli ebrei, egli rifiutasse di farsi complice delle persecuzioni. Egli non volle allontanarsi da Fiume neanche quando il Ministero dispose nell’aprile del 1939 il trasferimento a Caserta. Rodolfo Grani, ebreo fiumano, ricorda un primo grande salvataggio nel marzo del 1939. Si trattava di 800 fuggiaschi che dovevano entro poche ore essere consegnati alla GESTAPO. Il dott. Palatucci avvisò tempestivamente Grani, il quale si mobilitò ed ottenne l’intervento del Vescovo Isidoro Sain che, a sua volta, nascose temporaneamente i profughi nella vicina località di Abbazia sotto la protezione del Vescovado. Quando nel giugno del 1940 scoppiò la guerra e gli israeliti di Fiume e dintorni furono arrestati ed accompagnati maggior parte al campo di concentramento di Campagna, Palatucci li raccomandò alla benevolenza di suo zio, S. E. Giuseppe Maria Palatucci, Vescovo di Campagna.
La figura di S. E. Giuseppe Maria Palatucci, Vescovo di Campagna si saldò inscindibilmente, a partire dal giugno del 1940, con quella del nipote Giovanni; il giovane responsabile dell’Ufficio stranieri infatti, quando la via dell’emigrazione non era possibile, inviava gli ebrei presso il campo di concentramento di Campagna affidandoli alla protezione dello zio Vescovo. Giovanni dunque si rendeva conto che quel campo, pur con tutti i disagi dell’internamento, offriva un rifugio agli ebrei assai più sicuro delle terre jugoslave e, d’intesa con lo zio Vescovo, mise in opera ogni stratagemma per avviare là i profughi minacciati da immediati pericoli. Per non avere ostacoli dal Prefetto e dal Questore, presentava loro la soluzione dell’internamento nell’Italia meridionale come rimedio per liberarsi della presenza dei profughi che costituiva una minaccia per la sicurezza pubblica.
"Ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare". È quanto scriveva l’8 dicembre 1941 Giovanni Palatucci in una lettera inviata ai genitori. Niente di speciale davvero, se non fosse che quel "po’ di bene", compiuto nel più totale sprezzo del pericolo e in tempi difficili, significò la salvezza di centinaia di ebrei; oltre cinquemila, secondo quanto riferito dal delegato italiano Rafael Danton alla prima Conferenza ebraica mondiale tenutasi a Londra nel 1945.
Nel frattempo nel 1941 l'Italia ha invaso la Jugoslavia e ne ha annesso parte del territorio. Un'altra parte del Paese è stata annessa alla Germania, mentre viene creato uno stato-fantoccio dei tedeschi, la Croazia dell'ustascia Ante Pavelic. Nei territori sotto controllo tedesco e croato cominciano i rastrellamenti di ebrei (nel solo autunno del 1941 gli ustascia spediscono nei campi 45 mila ebrei croati), in quelli controllati dagli italiani, nonostante i Testa, non accade quasi nulla. "La deportazione degli ebrei è contraria all'onore dell'esercito italiano", risponde a muso duro il comandante delle divisione "Murge", generale Paride Negri, a un generale tedesco che gli chiede di svuotare Mostar dagli ebrei. (Menachem Shelah, Italian Rescue of Yugoslav Jews, in The Italian Refuge, edited by Ivo Herzer). Ovvio che in una situazione del genere gli ebrei cercassero di fuggire da tedeschi e ustascia rifugiandosi nelle zone italiane.
Palatucci e lo zio Vescovo dunque si fecero in quattro per risolvere positivamente i problemi degli ebrei; e se la via ufficiale incontrava grossi intoppi, Giovanni trovava sempre un modo per far imbarcare clandestinamente i profughi su qualche nave e farli arrivare sotto la protezione dello zio. Fino all’8 settembre 1943 il ponte sul fiume Eneo, che divideva il territorio fiumano dalle terre Jugoslave controllate dall’esercito italiano, divenne il canale di salvezza per migliaia di ebrei dell’Europa orientale e di tutte le regioni della Jugoslavia sottoposte agli ustascia ed ai nazisti.
Gli ebrei presenti a Fiume l’8 settembre 1943 erano 3500, in gran parte profughi della Croazia e della Galizia. Con la creazione della Repubblica Sociale ed il disfacimento dell’esercito italiano, Palatucci rimane solo in quella città a rappresentare la faccia di un’altra Italia che non voleva essere complice dell’olocausto.
Nel novembre del 1943 il territorio di Fiume fu incorporato nella Adriatisches Kustenland, che si estendeva dalla provincia di Udine a quella di Lubiana. Era una vera e propria regione militare comandata dal gauliter Friedrich Rainer che disponeva di poteri assoluti. Lo Stato italiano di fatto in quel vasto territorio non esisteva più. A Fiume l’ufficiale tedesco, che poteva decidere vita e morte di chiunque, era il Capitano delle SS Hoepener. In una situazione disperata, Giovanni Palatucci decide di rimanere a Fiume e diventa capo di una Questura fantasma, si rifiuta di consegnare ai nazisti anche un solo ebreo, anzi continua a salvarne molti rischiando la vita. Il Console svizzero a Trieste, che è un grande amico di Palatucci, lo mette sull’avviso che anche lui è in pericolo e lo invita a trasferirsi in Svizzera. Palatucci aiuta ad espatriare in Svizzera la donna ebrea di cui era innamorato, ma rimane ancora a Fiume: dice all’amico svizzero che non se la sente di "abbandonare nelle mani dei nazisti gli italiani e gli ebrei di Fiume".
Prende contatto con i partigiani italiani e, sotto il nome di Danieli, concorda con loro un progetto, da far giungere agli alleati, per la creazione, a guerra finita, di uno Stato libero di Fiume. Nel febbraio Palatucci viene nominato, da uno Stato che non esiste più, Questore reggente di Fiume. In questo modo però poteva aiutare gli ebrei solo clandestinamente: fa sparire allora gli schedari, dà soldi a quelli che hanno bisogno di nascondersi, riesce a procurare a qualcuno il passaggio per Bari su navi di paesi neutrali.
I nazisti, messi sull’avviso da spie, non fidandosi più di lui gli perquisirono la casa. Palatucci ingiunge allora all’ufficio anagrafico del Comune di non rilasciare più certificati ai nazisti, se non dietro sua autorizzazione, allo scopo di conoscere in anticipo le razzie organizzate dalle SS. Il Capitano Hoepener infatti organizza una grande retata di ebrei: Palatucci però riesce a preavvertire gli interessati e li aiuta a nascondersi. A questo punto il Capitano delle SS capisce di essere stato beffato e anche i partigiani consigliano a Palatucci di lasciare Fiume; ma egli resta ancora.
Il 13 settembre 1944 però, Palatucci venne arrestato dalla GESTAPO e tradotto nel carcere di Trieste; il 22 ottobre poi fu trasferito nel campo di sterminio di Dachau dove trovò la morte a pochi giorni dalla Liberazione e a soli 36 anni, ucciso dalle sevizie e dalle privazioni o - come anche fu detto - a raffiche di mitra.
(biografia tratta in gran parte dal sito del Comitato Palatucci) _________________
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tery Moschettiere

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Giorgio Perlasca
Nato a Maserà (Padova) nel 1910. Il padre era segretario comunale. Entusiasta degli ideali nazionalisti del fascismo, nel '35 andò come volontario prima in Africa Orientale poi in Spagna, con il Generale Franco. Dopo la fine della guerra di Spagna, rientrato in Italia, il suo rapporto con il fascismo, inteso come regime, entrò in crisi per due motivi essenzialmente; l’alleanza con la Germania e le leggi razziali, le inique leggi razziali che anche l’Italia ebbe a darsi copiando l’alleato tedesco. Non riusciva a comprendere, a giustificare uno Stato che discriminava propri cittadini per motivi religiosi e razziali. Così come non poteva comprendere una alleanza con la Germania contro cui, solo vent’anni prima, avevamo combattuto una feroce guerra che aveva riportato all’Italia Trento e Trieste. Coerente, smise di essere fascista, senza mai diventare antifascista. Scoppiata la seconda guerra mondiale venne mandato, in pratica come incaricato d’affari e con lo status di diplomatico, nei paesi dell’Est per comprare carne per l’Esercito italiano. A Belgrado vide i primi rastrellamenti e le prime deportazioni di ebrei e zingari nel 1941 da parte dei tedeschi.
L’ 8 di settembre del 1943 l’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati lo colse a Budapest, sempre con lo stesso incarico; posto di fronte alla richiesta di aderire alla R.S.I. rifiutò, con un ulteriore atto di coerenza, in quanto si sentiva vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al Re. Venne internato in un castello riservato ai diplomatici e per alcuni mesi la vita corse tranquilla, anche se il clima politico andava rapidamente deteriorandosi, aumentando l’influenza diretta dei tedeschi. Sino a che, a metà ottobre del 1944, dopo l’annuncio del reggente ammiraglio Horty della firma dell’armistizio con l’Unione Sovietica, i tedeschi presero il potere arrestando il reggente ed affidando il governo alle croci frecciate, i nazisti ungheresi. Giorgio Perlasca dovette fuggire e nascondersi e trovò rifugio presso l’Ambasciata spagnola. Al momento del congedo in Spagna ricevette infatti un documento che recitava: "Caro camerata, in qualunque parte del mondo ti troverai potrai rivolgerti alle Ambasciate spagnole". Ed in pochi minuti divenne cittadino spagnolo, con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca, iniziando a collaborare con l'Ambasciatore spagnolo, Sanz Briz, che già allora assieme alle altre potenze neutrali presenti (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano) rilasciava salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica. Anche se con notevoli distinzioni; funzionari di alcuni paesi vendevano a caro prezzo i salvacondotti ed ovviamente non avevano poi la forza morale ne la volontà di pretenderne il rispetto.
A fine novembre l’Ambasciatore spagnolo viene, eufemisticamente, richiamato per consultazioni in Patria ed offre a Giorgio Perlasca la possibilità di seguirlo; ma Giorgio Perlasca decide di rimanere, con un gesto di coerenza, per andare avanti con l'opera iniziata e per non abbandonare alla morte certa chi viveva sotto la protezione della bandiera spagnola. Autocompila con timbri e carta intestata autentica la sua nomina ad Ambasciatore spagnolo, porta le credenziali al Ministero degli Esteri e vengono prese per buone. D’altronde il mondo diplomatico lo frequentava da anni e sapeva come muoversi e comportarsi. E qui iniziarono i 40/45 giorni in cui, da solo, con l’aiuto dell’avv. Farkas, il legale dell’Ambasciata spagnola anche lui di religione ebraica, resse l’Ambasciata spagnola e l’incredibile impostura. Avvocato Farkas che riuscì si a sfuggire ai tedeschi ma venne ucciso dalle truppe dell’Armata Rossa quando nel gennaio del 1945 entrarono a Budapest.
Riuscì a proteggere, salvare e sfamare giorno dopo giorno oltre 5200 ungheresi di religione ebraica ammassati in cinque case protette lungo il Danubio, di fronte all’isola Margherita. Li rifornì di cibo; trovò soldi; organizzò un abbozzo di struttura militare di resistenza; affrontò fisicamente le Croci Frecciate; salvò, curò, girando su una Buik con le insegne della Spagna in una città di gelo, macerie, cecchini. Protesse gli ebrei dalle incursioni dei nylas, recandosi con Wallemberg alla stazione per cercare di recuperare i protetti, trattando quotidianamente con il Governo ungherese e le autorità tedesche di occupazione. Rilasciando salvacondotti che recitavano: "Parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo". Giocando sul fatto che la maggior parte degli ebrei ungheresi era di origine sefardita, di antica origine spagnola cacciati alcune centinaia di anni addietro dalla Regina Isabella la Cattolica. Nelle ore finali della disfatta tedescaa Budapest, affrontò il ministro dell'Interno ungherese che voleva incendiare il ghetto, blandendolo e minacciandolo e ottenendone infine la resa. E l’incredibile impostura durata oltre 40 giorni riuscì. Per cento giorni, Giorgio Perlasca si finse (e fu, a tutti gli effetti), tutto quello che non era: fu ambasciatore, medico, organizzatore della resistenza, consolatore di singoli. Sempre creduto in ognuno di questi ruoli. E gli oltre 5200 ebrei ungheresi riuscirono a salvarsi, a sopravvivere. Era un ovvio bluff ma nel clima di disfatta, confusione e di mancanza assoluta di comunicazioni funzionò.
Dopo l’entrata in Budapest dell’Armata Rossa, venne fatto prigioniero ma poi fu liberato, e riuscì con un lungo ed avventuroso viaggio per i Balcani e la Turchia a rientrare in Italia. Mise in un cassetto la sua storia ed iniziò una vita normalissima. Ulteriore momento di coerenza, nelle grandi scelte. Non riteneva - e lo diceva senza retorica - di aver fatto nulla di eccezionale e che qualsiasi persona al suo posto si sarebbe dovuta comportare in quella maniera, con maggior o minor fortuna, ma in quella maniera. La dignità di essere umano, di persona, lo imponeva. E nemmeno in famiglia raccontò la storia nella sua completezza, se non qualche singolo episodio che non dava una visione generale della realtà. Non raccontò, non vendette la sua incredibile storia come tanti, troppi fecero nell’Italia del dopoguerra, per ottenere qualcosa in cambio.
Giorgio Perlasca venne ritrovato, è proprio il caso di dirlo, a fine anni 80. Vennero in Italia, eravamo vicini alla caduta generale del comunismo reale nei paesi dell’est Europa con un viaggio collettivo in Italia che toccava Roma, Firenze, Rimini e Venezia, con tappa a Padova. Erano marito e moglie, Eva e Pal Lang, entrambi sopravvissuti a quegli anni terribili. Israele, Yad Vashem, lo proclamò Giusto tra le Nazioni, andò a Gerusalemme ove piantò l’albero sulla collina dei Giusti, ospite del Governo israeliano. Gli venne concessa la cittadinanza onoraria dello Stato d’Israele. A ruota seguirono gli altri Paesi; dall’Italia ove la vicenda venne fatta conoscere al grande pubblico da Enrico Deaglio, con la trasmissione televisiva Mixer e con il libro "la banalità del bene", che gli concesse la Medaglia d’Oro al Valor Civile ed il titolo di Grande Ufficiale della Repubblica.
L’Ungheria, ove a Budapest una scuola alberghiera porta il suo nome, gli concesse la massima onorificenza nazionale, la Stella al Merito, durante una sessione speciale del Parlamento. La Spagna gli concesse l’onorificenza di Isabella la Cattolica. Gli Stati Uniti lo accolsero come un eroe. E questo solo per rimanere al campo degli Stati. Innumerevoli i riconoscimenti di associazioni, fondazioni private; in moltissime città italiane vi sono vie e piazze che portano il suo nome. Alla domanda, ripetuta dai giornalisti che lo intervistavano, sulle motivazioni e sul perché lo aveva fatto, rispondeva in due modi. "Lei cosa avrebbe fatto al mio posto, vedendo migliaia di persone sterminate senza un motivo, solo per odio razziale e religioso, ed avendo la possibilità di fare qualcosa per aiutarli". E a un giornalista che gli suggeriva "Lo ha fatto perché cattolico", lui credente anche se non praticante rispose: "No, perché sono un uomo".
Giorgio Perlasca venne a mancare il 15 agosto del 1992, improvvisamente. Il destino ha voluto che la sua vicenda non scomparisse con lui, riacciuffata per i capelli dopo oltre 40 anni. E’ sepolto in un paese a pochi chilometri da Padova, Maserà, ove riposa anche suo padre, ex segretario comunale. Ha voluto essere sepolto nella terra e con una unica frase, oltre alla data di nascita e di morte: Giusto tra le Nazioni, in ebraico.
(tratto in gran parte dalla biografia di Franco Perlasca, "Mio Padre", e dall'articolo di Enrico Deaglio "Il Giusto diventa un film") _________________
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Caty Moschettiere

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Giorgio Perlasca
Una foto di Perlasca fitcion.
Su Rai Edu 2 li stanno facendo rivedere.
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Caty Moschettiere

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L'elenco completo dei Giusti italiani
Dal 1963 una speciale commissione israeliana assegna il riconoscimento di "Giusto tra le Nazioni": persone che rischiando la propria vita salvarono gli ebrei dalle mani dei nazifascisti. In tutto il mondo lo hanno ricevuto finora 17.433 persone. Gli italiani sono 297. I loro nomi compaiono sul Muro dell'Onore, nel Giardino dei Giusti della fondazione Yad Vashem, a Gerusalemme. Solo di pochi di loro si conosce la storia. Deportazione.too.it vorrebbe ricostruire le loro vicende. Chiunque abbia notizie, è pregato di contattarci a questa mail. Ecco l'elenco:
Adami Ulisse & Ade
Alessandrini don Armando
Ambrostolo Emilio & Virginia
Amendola prof. Maria
Amerio Padre Pasquale
Angela Carlo
Annoni Fosco e la sorella Tina
Antolini Umberto & genitori
Antonioli don Francesco
Arnaldi dr. Rinaldo
Avenia Giacomo
Avondet Michel & Leontina
Azzurri Sperandia
Badetti Virginie
Barbieri Ostilio & Amelia
Bortolameotti don Guido Bortolameotti
Bassi Giacomo
Basso Frisini Lida
Bastianon Alessandro
Beccari don Arrigo
Bellio Gino & Elsa Poianella
Benedetti Emilia
Benedetto padre Maria
Bettin Regine & Giovanna
Bezzan Emmo & Brunilda & Lavinia
Billour Amato & Letizia
Bisogni Renato & Giovanna
Boldetti Luciana
Bonaiti Giuseppe & Luigia
Boni-Baldoni don Enzo
Bortolameotti monsignor Guido
Braccagni don Alfredo
Bracci Umberto, Lina Marchetti
Brandone Luigia, Armellino,& Domenico
Brizi Luigi e il figlio Trento
Brugnoli Luigi & Cavalca
Brunacci don Aldo
Brusasca Giuseppe
Burian prof. Anita
Busnelli, suor Sandra & Ester
Bussa don Eugenio
Cabrusa Emilia & Giorgio
Caglio Virgilio & Amalia
Caligiuri Clelia
Campolmi Gennaro
Candini Pio & Gina
Canelli Luca
Canova Alfonso
Cappello Giovanni & Luigia
Cardini Gino
Cardini Lodovico & Lydia
Carlotto don Michele
Caronia Giuseppe
Carugno Osman
Casini don Leto
Casini dr. Enzo & Maria Pia
Cassinelli Garibaldi Maria & Ciro
Castelli Filippo & Gina Frangini
Castracane Roberto
Cataneo Lydia
Cei Maria Maddalena
Cerioli Angelo, e la figlia Dina
Cicutti Lajos, e i figli Luigi & Jozsef
Citterich Mario & Lina
Coduri Elvezio & Olive Cosgrove
Comba Alfredo & Maria
Conci Ines & Aurelio
Costantini Cesare & Letizia
Costanzi Giuseppe & Elena
Crippa-Leoni prof. Lina
Cunial Fausto
Cupertino, Daniele & Teresa
Custo Emanuele & Rosetta
Daelli Alessandro
Dalla Torre don Angelo
Dalla Valle Antonio
Darmon-Valeri Pina
De Angelis Enrico
& Giuseppina Di Carlo
De Beni Benedetto
De Fiore Angelo
De Franc Benvenuto
& Carlotta Guerino
De Micheli-Tommasi dr. Ada & Mario
De Zotti don Giuseppe
Di Gori Piero & Albina
Di Grassi Sem & Maria
Di Pietro Alessandro
Dressino padre Antonio
Drigo Giuditta
Anna Bolledi (suor Emerenzia)
Ehrhard Maria Leone
Facibeni Giulio
Fagiolo monsignorVincenzo
Maria Corsetti (suor Ferdinanda)
Ferrari Anna & Giovanni
Ferrari suor Maria Angelica
Focherini Odoardo
Folcia, suor Marta
Fraccon Torquato
Frangini Amalia
Furlan Elvira
Galvani Guelfo
Garbini Antonio
Garofano Francesco & Elsa
Gatti Arturo
Gentili Mario
Ghelli Vittorio & moglie
Giorgetti Ezio
Giovannozzi Giorgio & Luisa
Giovannucci Teresa & Pietro
Girotti padre Giuseppe
Gradassi don Giulio
Grasso Luigi & Maria
Iezzi Emidio & Milietta
Isotton Ferdinando & Evangelina
Jemolo prof. Carlo Arturo
Lai Lelio & Lina Vannini
Lazzarini dr. Giacinto
Lefevre Nilde & Amedeo
Lenti Ida
Lestini Pietro, e la figlia Giuliana
Lorenzini Antonio
Maccia Guglielmo & Amelia
Magna Battista
Malan Silvia
Mancini Gustavo
Mani Antonio & Bartolomea
Mazza Giuseppe & Maria
Mecacci don Vivaldo
Meinardi Giuseppe
Melani Alfredo
Milana Agapito & Assunta (con i figli Giulia, Lidia e Angelo)
Moraldo Francesco
Moreali dr. Giuseppe
Musso Renato & Enrica
Natoni Ferdinando
Niccaci padre Rufino
Nicolini monsignor Giuseppe Placido
Oberto Luigi & Maria
Ollari Ernesto
Pace Angelo & Filomena
Palatucci dr. Giovanni
Palazzini cardinale Pietro
Pancani Leonida
Pannini Elvira
Paoli don Arturo
Pasin don Ferdinando
Perez Luigi & Sandra
Perlasca Giorgio
Perrone Lorenzo
Pesante dr. Giovanni & Angelica
Piana Ercole & Gina
Pigliapoco Attilio & Lidia
Pretti Giuseppina & Felice
Pugi Luigi
Raspino padre Francesco
Ravera Carlo & Maria
Repetto don Francesco
Riccardi Pellegrino
Richeldi don Benedetto
Richetto Carmelo & Angiola
Ricotti padre Cipriano
Rizzolio Beatrice
Roda-Boggio Clotilde
Rosadini monsignor Luigi
Rotta Angelo
Sacchi Vando & Ebe
Sacchi Ricardo & Ebe
Sala Anna
Sala don Dante
Salvi don Carlo
Santerini Mario & Lina
Supino Giuseppe
Saracco Michelina
Schivo monsignor Beniamino
Sergiani Enrico & Luigina Manzaroli
Sgatti Alessandro, Irina e Luce
Sibona Enrico
Signori Anna
Signori Gino
Simeoni don Giovanni
Soffici Dante & Giulia
Soffici Oreste & Mariana
Spada Lorenzo
Spingi Vito
Stablum Emanuele
Stortini Quirino
Tagliabue Luigi & Angela
Talamonti Adelino e il figlio Fides
Talamonti Camillo e Fernando
Fernanda
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Tantalo don Gaetano
Tiburzio dr. Giuseppe
Torreggiani Fernando
Tredici Vettorio
Turrini Adele
Vaiani Caterina
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tery Moschettiere

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Tantissimi.e di pochi veramente si conosce la loro storia.. ]
Grazie Caty..  _________________
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Caty Moschettiere

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